Cassazione penale: l’obbligo di mantenimento dei figli a carico dei genitori ha effetto retroattivo nel caso di riconoscimento giudiziale dello status

Con sentenza 40698/23 del 5.10.2023 la Corte di Cassazione ha affermato il principio per cui, in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare di cui all’art. 570 c.p. l’obbligo di mantenimento dei figli retroagisce al momento della loro nascita anche nel caso di accertamento giudiziale definitivo dello status.  

Il caso trae origine dal procedimento penale a carico di un uomo che era andato avanti fino alla pronuncia della sentenza nonostante il procedimento civile di accertamento giudiziale della paternità pendesse ancora in grado di appello.

Nel suo ragionamento la Corte di Cassazione ha, infatti, osservato che, ciò che conta in sostanza, è che lo status di figlio sia accertato in sede civile con sentenza irrevocabile, a nulla rilevando che nell’ambito di tale giudizio siano intervenute sentenze non definitive che pure abbiano accertato la paternità sulla base della prova del DNA.    

Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316 bis c.p.): la competenza territoriale appartiene al giudice del luogo in cui il soggetto pubblico erogante dispone l’accredito dei contributi, finanziamenti o altre provvidenze a favore di chi ne abbia fatto indebitamente richiesta.

Con sentenza n. 30770/23 del 14 luglio 2023 la Corte di Cassazione ha ribadito che, ai fini della competenza territoriale, il reato di cui all’art. 316 bis c.p. si consuma nel luogo in cui il soggetto pubblico erogante dispone l’accredito dei contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre provvidenze in favore di chi ne abbia fatto indebitamente richiesta.

Nella sua decisione la Cassazione ha anche avuto modo di precisare ulteriormente la distinzione tra il reato di cui all’art. 316 bis c.p. ed il reato di cui all’art. 640 bis c.p. (truffa aggravata ai danni dello Stato). In particolare, il reato di cui all’art. 316 bis c.p. si differenza da quello di cui all’art. 640 bis c.p. per la mancata inclusione, tra gli elementi costitutivi del primo, dell’induzione in errore dell’ente erogatore, il quale si limita a prendere atto dell’esistenza dei requisiti autocertificati dal richiedente, senza svolgere una autonoma attività di accertamento, la quale è riservata ad una fase meramente eventuale e successiva.

E’ legittima la contestazione suppletiva della recidiva anche a fronte di un reato prescritto?  Rimessa la questione alle Sezioni Unite

La questione trae origine da una sentenza di condanna, confermata in appello, per i reati di minaccia aggravata, violazione di domicilio e tentato furto con strappo che sarebbero stati commessi tra il 2011 e il 2012.

La difesa dell’imputato promuoveva ricorso per Cassazione lamentando che la recidiva specifica reiterata e infraquinquennale era stata contestata soltanto all’udienza del 17.09.2020 quando ormai tutti e tre i reati contestati erano ormai prescritti. Sicché, a parere della difesa, il giudice avrebbe dovuto dichiarare l’estinzione dei reati per intervenuta prescrizione, non potendo la contestazione della recidiva far rivivere un reato già prescritto.

La quinta sezione penale della Corte di Cassazione a cui era stato assegnato il ricorso ha rilevato sul punto un conflitto tra due opposti orientamenti giurisprudenziali. Secondo un primo orientamento, la recidiva non sarebbe un mero “status” soggettivo, con la conseguenza che il decorso del termine prescrizionale ne precluderebbe la contestazione (così ex multis Cass. Sez 5  n. 48205 del 10.09.2019). Secondo altro orientamento, invece, la contestazione della recidiva avrebbe natura “ricognitiva” e non costitutiva, con la conseguenza che la stessa non sarebbe preclusa dal maturare della prescrizione (cfr. ex multis Cass. Sez. 2 n. 33871 del 2.07.2010).

La questione è stata, pertanto, rimessa alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione per la decisione.   

Corte Europea per i Diritti dell’Uomo: violazione dell’art. 6 CEDU (diritto ad un processo equo) da parte di una decisione della Corte di Cassazione fondata su motivi diversi rispetto a quelli invocati dalle parti.

Con sentenza del 29 giugno 2023 la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, pronunciandosi sul caso Ben Amamou c. Italia, ha affermato che vi è stata violazione dell’art. 6 CEDU (diritto ad un processo equo) da parte della decisione della Corte di Cassazione n. 8386/20 del 29.04.2020

Il caso trae origine dalla procedura giudiziaria avviata in Italia dal sig. Ben Amamou il quale, mentre si trovava a bordo di una vettura in qualità di terzo trasportato, era rimasto vittima di un grave incidente stradale provocato da un veicolo rimasto non identificato.

La richiesta di risarcimento diretto spiegata ai sensi dell’art. 141 Cod. Ass. dal sig. Ben Amamou nei confronti dell’Assicurazione del veicolo ove si trovava a bordo veniva respinta sia dal Tribunale che dalla Corte d’Appello di Perugia per le medesime motivazioni: l’azione diretta ex art 141 Codice Assicurazioni Private richiede che entrambi i veicoli coinvolti siano identificati e assicurati contro la responsabilità civile. In mancanza, il danneggiato dovrà rivolgersi al Fondo Vittime della Strada.

Il sig. Ben Amamou promuoveva ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte d’Appello. La Corte di Cassazione respingeva il ricorso sul presupposto che “l’azione diretta del terzo trasportato nei confronti dell’assicuratore del proprio vettore è data a condizione che sia individuabile una responsabilità concorrente, anche soltanto presunta, del conducente del veicolo sul quale il terzo trasportato viaggiava”.  In altri termini, nonostante l’intero processo di merito si fosse basato sull’interrogativo se l’art. 141 Cod. Ass. richiedesse o meno che tutti i veicoli coinvolti nel sinistro fossero identificati, la Corte di Cassazione aveva finito col fondare la propria decisione su di un motivo diverso: il mancato accertamento di una eventuale corresponsabilità del trasportatore.

Secondo la decisione della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo l’esigenza di rispettare il contraddittorio avrebbe richiesto che la Corte di Cassazione sottoponesse alle parti la questione rivelatasi, poi, decisiva ai fini del giudizio. Poiché, pertanto, il ricorrente era stato “preso alla sprovvista” dalla sostituzione dei motivi presi in considerazione dalla Corte, egli non ha potuto beneficiare di un processo equo come garantito dall’art. 6 CEDU. 

Coppie internazionali – Il matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso ed il suo riconoscimento in Italia

Tra le coppie internazionali che mi capita di assistere a livello legale vi sono frequentemente coppie composte da due donne o da due uomini. Molte di queste persone, dopo una lunga permanenza all’estero, hanno scelto di vivere in Italia per i motivi più disparati e il più delle volte sono sposate in paesi che ammettono il matrimonio civile anche per questo genere di unioni. La domanda più ricorrente che pongono all’avvocato è se il loro matrimonio ha valore in Italia e come si devono comportare nel momento in cui attraversano la crisi coniugale.  

Orbene, la risposta a questa domanda è, per certi versi, affermativa. Anche i matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all’estero possono trovare riconoscimento in Italia. Ma occorre fare una distinzione.

Se, infatti, anche uno solo dei partners è cittadino italiano, l’eventuale matrimonio contratto all’estero con una persona dello stesso sesso produrrà in Italia gli effetti dell’unione civile (così dispone l’art 32 bis della legge n. 218/95).  Viceversa, se entrambi i partners sono cittadini stranieri, la loro unione potrà essere registrata in Italia come un vero e proprio matrimonio (così Cass. Sez. I, Sent n. 11696/2018).

Nonostante la Cassazione nella citata sentenza abbia respinto i dubbi di incostituzionalità dell’art. 32 bis L. 218/95 ribadendo che, in buona sostanza, ciascuno Stato membro del Consiglio d’Europa è libero di scegliere il modello di unione omoaffettiva che crede, purché sia assicurato uno standard di tutela coerente con la giurisprudenza CEDU, non è semplice spiegare il perché di questa disparità di trattamento. Sebbene l’unione civile presenti, infatti molte analogie con il matrimonio, non poche sono le differenze. Ad esempio l’obbligo di fedeltà, contemplato per il matrimonio, non è previsto per l’unione civile. E se entrambi i coniugi vengono considerati dalla legge come genitori dei figli nati in costanza di matrimonio, nel caso di unione civile la legge considera come tale soltanto il genitore biologico.

La responsabilità del medico del pronto soccorso sussiste anche a seguito di cambio turno senza passaggio di consegne formale

Secondo costante giurisprudenza il medico del pronto soccorso è titolare di una posizione di garanzia nei confronti dei pazienti. Ciò sta a significare che egli deve attivarsi per informarsi sulle condizioni di salute dei pazienti che ha in carico e delle cure che necessitano o quantomeno a consultare la cartella clinica, anche nell’ipotesi in cui sia avvenuto un cambio turno senza passaggio formale di consegne tra medici.

È quanto ribadito dalla Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 44622/2017 del 27.09.2017 che ha confermato la condanna per omicidio colposo di una dottoressa del pronto soccorso in un caso riguardante il decesso di un uomo per shock emorragico dovuto all’ingestione durante il pasto di un osso di pollo.

Dal processo era, infatti, emerso che l’uomo aveva fatto ingresso al pronto soccorso lamentando un forte dolore allo sterno a seguito del pasto ed aveva informato i medici che durante il pranzo aveva ingerito un osso di pollo. Le linee guida prevedono in tali casi che il paziente venga sottoposto prima a una radiografia del torace e ad una radiografia dell’addome e, successivamente, ad un esame endoscopico onde rilevare la presenza del corpo estraneo.

Il paziente veniva inizialmente sottoposto alle radiografie previste dalle linee guida da parte dei medici che lo avevano preso in carico, le quali davano esito negativo. Successivamente, un’altra dottoressa, subentrata nel turno della mezzanotte, dimetteva il paziente refertando un “dolore toracico atipico”, raccomandandogli di far controllare la pressione arteriosa ed omettendo, tuttavia, di sottoporlo ad esame endoscopico.

Il paziente moriva dopo 5 giorni a causa dello shock emorragico provocato dalla fistolarizzazione dell’aorta e del conseguente shock emorragico provocato dall’osso di pollo precedentemente ingerito.

La disciplina del consenso informato nella nuova legge sul testamento biologico

Lo scorso dicembre è entrata in vigore la legge 219/2017 sul consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento, meglio nota come legge sul testamento biologico.

Con tale legge viene assicurata una tutela ampia del consenso informato stabilendo che “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi previsti dalla legge”.

Viene, inoltre, promossa e valorizzata la relazione tra paziente e medico, relazione in cui vengono coinvolti, se il paziente lo desidera, anche i famigliari o i conviventi e i partners dell’unione civile o ancora una persona di fiducia del paziente medesimo. Una novità, questa, che recepisce anche a livello normativo le esigenze derivanti dal mutato contesto sociale e familiare italiano.

La legge stabilisce che ogni persona ha diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo aggiornato e a lei comprensibile riguardo alle diagnosi alle prognosi ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi.

È importante sottolineare che, ai sensi della legge in commento, nella nozione di trattamento sanitario vengono per la prima volta ricomprese espressamente anche l’alimentazione e l’idratazione artificiale tramite dispositivo medico. Questa legge interviene, dunque, fermamente nel dibattito che aveva interessato i casi Englaro e Welby, in cui molti la posizione di molti tra coloro che si dicevano contrari a staccare i macchinari faceva leva sull’argomento per cui alimentazione artificiale non poteva considerarsi un trattamento sanitario.

Da ultimo, la nuova legge impone al medico di rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciarvi e, in conseguenza di ciò, il medico viene esentato da ogni forma di responsabilità civile o penale.

Nelle situazioni di emergenza e di urgenza, il medico e i componenti dell’equipe sanitaria assicurano le cure necessarie nel rispetto della volontà del paziente ove le sue condizioni cliniche e le circostanze consentano di recepirla.

Questa legge marca il definitivo tramonto della concezione paternalistica del rapporto paziente- medico, che vedeva il paziente affidarsi quasi ciecamente alle cure e alle scelte del medico, e segna dunque il passaggio definitivo ad una relazione paritaria fondata sulla fiducia e sul consenso informato.

Nuove forme di protezione per gli orfani di crimini domestici

Lo scorso 16 febbraio 2018, sulla scia di un allarmante aumento di efferati omicidi in ambito familiare, è entrata in vigore la legge n. 4/2018 che ha introdotto diverse nuove disposizioni in favore degli orfani di crimini domestici.

In primo luogo è stata introdotta la tutela legale gratuita da parte dello Stato, mediante l’estensione delle norme sul gratuito patrocinio in favore sia dei figli minori che di quelli maggiorenni non economicamente autosufficienti, che siano rimasti orfani di un genitore a seguito dell’omicidio commesso in danno dello stesso da parte del coniuge, ancorché separato o divorziato o dal convivente.  L’ammissione al gratuito patrocinio avviene anche in deroga ai limiti di reddito e si applica a tutti i procedimenti penali o civili derivanti dal reato, compresa l’esecuzione forzata.

Viene altresì modificato il codice di procedura penale affinché il giudice, ove si proceda per il reato di omicidio del genitore, rilevata la presenza di figli della vittima che siano minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti costituiti parte civile nel processo penale a carico del genitore o del convivente omicida, conceda loro, anche d’ufficio, una provvisionale pari al 50% del danno che si presume possa essere liquidato in sede civile.

Tra le altre misure in favore degli orfani di crimini domestici viene prevista un’assistenza gratuita di tipo medico-psicologico a cura del SSN, per tutto il tempo occorrente al pieno recupero del loro equilibrio psicologico, con l’esenzione dalla relativa spesa sanitaria e farmaceutica, nonché l’erogazione di borse di studio da parte del Fondo di Rotazione per la Solidarietà alla Vittime di Reati di tipo mafioso, ivi compresi altri finanziamenti per interventi di tipo formativo o di inserimento lavorativo.

Degno di nota è, infine, il diritto, degli orfani di chiedere il cambio del proprio cognome qualora esso coincida con quello del genitore condannato in via definitiva.

Mancato pagamento dell’assegno di divorzio o di separazione. Conseguenze sul piano penale

Lo scorso 6 aprile 2018 è entrato in vigore il nuovo articolo 570 bis c.p. riguardante la “Violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio”.

Questa nuova figura di reato recepisce all’interno del codice penale quelle condotte delittuose che sino a prima erano sanzionate da specifiche disposizioni della legge sul divorzio (art. 12 sexies L. n. 898/70) e dalla legge sull’affido condiviso (art. 3 L n. 54/06), le quali sono state conseguentemente abrogate.

La nuova disposizione prevede l’applicabilità delle pene già previste dall’art. 570 c.p., ossia la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 103 a euro 1.032.  “al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di divorzio/nullità del matrimonio ovvero che viola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli..

La nuova figura di reato appronta, dunque, una tutela più ampia rispetto a quella originariamente prevista dall’art. 570 comma 2 c.p.

Se, tradizionalmente, infatti, il Codice Rocco puniva soltanto le condotte del coniuge che faceva mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori o inabili al lavoro o al coniuge non separato per colpa, il nuovo art. 570 bis c.p. ricollega, invece, la sanzione penale al mero inadempimento dell’obbligo di corresponsione dell’assegno (di qualsiasi tipologia esso trattasi) stabilito in sede di divorzio o di separazione dal giudice civile in favore dei figli (non necessariamente minorenni, purché non autosufficienti) o dell’altro coniuge. Irrilevante, in quest’ultimo caso, lo stato di bisogno dell’avente diritto.

Come già a suo tempo precisato dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento alle fattispecie abrogate, anche la nuova figura di reato può essere commessa soltanto nell’ambito delle coppie coniugate. Nell’ipotesi di violazione degli obblighi economici scaturenti dalle convivenze more uxorio è, invece, applicabile soltanto la meno ampia tutela di cui all’art. 570 comma 2 c.p. (v. Cass., Sez. VI, 6.4.2017, n. 25267)