Sezioni Unite Civili: ammesso il ricorso straordinario per Cassazione ex art. 111 comma 7 Cost. avverso la decisione definitiva sul reclamo in tema di inibitoria al rilascio del passaporto ex art. 3 lettera b) legge 1185/67

Con la recente Sentenza n. 22048 del 24 luglio 2023 le Sezioni Unite Civili hanno affermato che è esperibile il rimedio del ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 comma 7 Cost. avverso il decreto finale con il quale il Tribunale, in sede di reclamo avverso la decisione del Giudice tutelare, accorda o nega l’inibitoria al rilascio del passaporto in favore del genitore di figli minorenni.

Giova, infatti evidenziare che, ai sensi dell’art. 3 bis della Legge 1185/67 Il giudice può inibire per un massimo di due anni il rilascio del passaporto al genitore avente prole minore, quando vi è concreto e attuale pericolo che a causa del trasferimento all’estero questi possa sottrarsi all’adempimento dei suoi obblighi verso i figli. Conseguentemente, ai sensi dell’art. 3 lettera b) non possono ottenere il passaporto coloro che sono risultati destinatari di tale inibitoria. Inoltre, ai sensi dell’art. 12 della medesima legge, il passaporto già rilasciato viene ritirato al sopraggiungere di tale inibitoria oppure ancora quando il titolare si trovi all’estero e, ad istanza degli aventi diritto, non sia in grado di offrire la prova dell’adempimento degli obblighi alimentari, di mantenimento, di assegno divorzile ecc. che riguardino i discendenti di età minore ovvero portatori di handicap grave o inabili al lavoro, gli ascendenti e il coniuge non legalmente separato.

La decisione in commento è di particolare importanza dal momento in cui appronta un rimedio nell’ambito di una procedura, quella camerale, che in condizioni normali non ammette nessuna forma di impugnazione avverso la decisione del giudice del reclamo.

Coppie internazionali – Il matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso ed il suo riconoscimento in Italia

Tra le coppie internazionali che mi capita di assistere a livello legale vi sono frequentemente coppie composte da due donne o da due uomini. Molte di queste persone, dopo una lunga permanenza all’estero, hanno scelto di vivere in Italia per i motivi più disparati e il più delle volte sono sposate in paesi che ammettono il matrimonio civile anche per questo genere di unioni. La domanda più ricorrente che pongono all’avvocato è se il loro matrimonio ha valore in Italia e come si devono comportare nel momento in cui attraversano la crisi coniugale.  

Orbene, la risposta a questa domanda è, per certi versi, affermativa. Anche i matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all’estero possono trovare riconoscimento in Italia. Ma occorre fare una distinzione.

Se, infatti, anche uno solo dei partners è cittadino italiano, l’eventuale matrimonio contratto all’estero con una persona dello stesso sesso produrrà in Italia gli effetti dell’unione civile (così dispone l’art 32 bis della legge n. 218/95).  Viceversa, se entrambi i partners sono cittadini stranieri, la loro unione potrà essere registrata in Italia come un vero e proprio matrimonio (così Cass. Sez. I, Sent n. 11696/2018).

Nonostante la Cassazione nella citata sentenza abbia respinto i dubbi di incostituzionalità dell’art. 32 bis L. 218/95 ribadendo che, in buona sostanza, ciascuno Stato membro del Consiglio d’Europa è libero di scegliere il modello di unione omoaffettiva che crede, purché sia assicurato uno standard di tutela coerente con la giurisprudenza CEDU, non è semplice spiegare il perché di questa disparità di trattamento. Sebbene l’unione civile presenti, infatti molte analogie con il matrimonio, non poche sono le differenze. Ad esempio l’obbligo di fedeltà, contemplato per il matrimonio, non è previsto per l’unione civile. E se entrambi i coniugi vengono considerati dalla legge come genitori dei figli nati in costanza di matrimonio, nel caso di unione civile la legge considera come tale soltanto il genitore biologico.

La disciplina del consenso informato nella nuova legge sul testamento biologico

Lo scorso dicembre è entrata in vigore la legge 219/2017 sul consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento, meglio nota come legge sul testamento biologico.

Con tale legge viene assicurata una tutela ampia del consenso informato stabilendo che “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi previsti dalla legge”.

Viene, inoltre, promossa e valorizzata la relazione tra paziente e medico, relazione in cui vengono coinvolti, se il paziente lo desidera, anche i famigliari o i conviventi e i partners dell’unione civile o ancora una persona di fiducia del paziente medesimo. Una novità, questa, che recepisce anche a livello normativo le esigenze derivanti dal mutato contesto sociale e familiare italiano.

La legge stabilisce che ogni persona ha diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo aggiornato e a lei comprensibile riguardo alle diagnosi alle prognosi ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi.

È importante sottolineare che, ai sensi della legge in commento, nella nozione di trattamento sanitario vengono per la prima volta ricomprese espressamente anche l’alimentazione e l’idratazione artificiale tramite dispositivo medico. Questa legge interviene, dunque, fermamente nel dibattito che aveva interessato i casi Englaro e Welby, in cui molti la posizione di molti tra coloro che si dicevano contrari a staccare i macchinari faceva leva sull’argomento per cui alimentazione artificiale non poteva considerarsi un trattamento sanitario.

Da ultimo, la nuova legge impone al medico di rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciarvi e, in conseguenza di ciò, il medico viene esentato da ogni forma di responsabilità civile o penale.

Nelle situazioni di emergenza e di urgenza, il medico e i componenti dell’equipe sanitaria assicurano le cure necessarie nel rispetto della volontà del paziente ove le sue condizioni cliniche e le circostanze consentano di recepirla.

Questa legge marca il definitivo tramonto della concezione paternalistica del rapporto paziente- medico, che vedeva il paziente affidarsi quasi ciecamente alle cure e alle scelte del medico, e segna dunque il passaggio definitivo ad una relazione paritaria fondata sulla fiducia e sul consenso informato.

Nuove forme di protezione per gli orfani di crimini domestici

Lo scorso 16 febbraio 2018, sulla scia di un allarmante aumento di efferati omicidi in ambito familiare, è entrata in vigore la legge n. 4/2018 che ha introdotto diverse nuove disposizioni in favore degli orfani di crimini domestici.

In primo luogo è stata introdotta la tutela legale gratuita da parte dello Stato, mediante l’estensione delle norme sul gratuito patrocinio in favore sia dei figli minori che di quelli maggiorenni non economicamente autosufficienti, che siano rimasti orfani di un genitore a seguito dell’omicidio commesso in danno dello stesso da parte del coniuge, ancorché separato o divorziato o dal convivente.  L’ammissione al gratuito patrocinio avviene anche in deroga ai limiti di reddito e si applica a tutti i procedimenti penali o civili derivanti dal reato, compresa l’esecuzione forzata.

Viene altresì modificato il codice di procedura penale affinché il giudice, ove si proceda per il reato di omicidio del genitore, rilevata la presenza di figli della vittima che siano minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti costituiti parte civile nel processo penale a carico del genitore o del convivente omicida, conceda loro, anche d’ufficio, una provvisionale pari al 50% del danno che si presume possa essere liquidato in sede civile.

Tra le altre misure in favore degli orfani di crimini domestici viene prevista un’assistenza gratuita di tipo medico-psicologico a cura del SSN, per tutto il tempo occorrente al pieno recupero del loro equilibrio psicologico, con l’esenzione dalla relativa spesa sanitaria e farmaceutica, nonché l’erogazione di borse di studio da parte del Fondo di Rotazione per la Solidarietà alla Vittime di Reati di tipo mafioso, ivi compresi altri finanziamenti per interventi di tipo formativo o di inserimento lavorativo.

Degno di nota è, infine, il diritto, degli orfani di chiedere il cambio del proprio cognome qualora esso coincida con quello del genitore condannato in via definitiva.

Mancato pagamento dell’assegno di divorzio o di separazione. Conseguenze sul piano penale

Lo scorso 6 aprile 2018 è entrato in vigore il nuovo articolo 570 bis c.p. riguardante la “Violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio”.

Questa nuova figura di reato recepisce all’interno del codice penale quelle condotte delittuose che sino a prima erano sanzionate da specifiche disposizioni della legge sul divorzio (art. 12 sexies L. n. 898/70) e dalla legge sull’affido condiviso (art. 3 L n. 54/06), le quali sono state conseguentemente abrogate.

La nuova disposizione prevede l’applicabilità delle pene già previste dall’art. 570 c.p., ossia la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 103 a euro 1.032.  “al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di divorzio/nullità del matrimonio ovvero che viola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli..

La nuova figura di reato appronta, dunque, una tutela più ampia rispetto a quella originariamente prevista dall’art. 570 comma 2 c.p.

Se, tradizionalmente, infatti, il Codice Rocco puniva soltanto le condotte del coniuge che faceva mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori o inabili al lavoro o al coniuge non separato per colpa, il nuovo art. 570 bis c.p. ricollega, invece, la sanzione penale al mero inadempimento dell’obbligo di corresponsione dell’assegno (di qualsiasi tipologia esso trattasi) stabilito in sede di divorzio o di separazione dal giudice civile in favore dei figli (non necessariamente minorenni, purché non autosufficienti) o dell’altro coniuge. Irrilevante, in quest’ultimo caso, lo stato di bisogno dell’avente diritto.

Come già a suo tempo precisato dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento alle fattispecie abrogate, anche la nuova figura di reato può essere commessa soltanto nell’ambito delle coppie coniugate. Nell’ipotesi di violazione degli obblighi economici scaturenti dalle convivenze more uxorio è, invece, applicabile soltanto la meno ampia tutela di cui all’art. 570 comma 2 c.p. (v. Cass., Sez. VI, 6.4.2017, n. 25267)

Difendersi con il patrocinio a spese dello Stato

Il Patrocinio a Spese dello Stato (noto anche come gratuito patrocinio) nasce con lo scopo di assicurare alle persone meno abbienti l’accesso alla giustizia.

La persona ammessa al patrocinio gratuito, infatti, beneficia dell’assistenza legale di un solo difensore che verrà integralmente retribuito dallo Stato. Inoltre, la persona ammessa al gratuito patrocinio è dispensata dal pagamento di tasse o imposte per avviare una causa oppure resistervi, come pure è esentata dal pagamento di spese di notifica e diritti di copia.

Vediamo i dettagli.

  • Chi può richiederlo ?

Il cittadino italiano o straniero/apolide che sia accusato di un reato ovvero vittima di un reato che intenda costituirsi parte civile nel processo penale. L’ammissione è valida per tutti i gradi di giudizio. In ambito civile il patrocinio a spese dello stato può essere chiesto dalla persona che intende iniziare un giudizio ovvero resistere in un giudizio.

  • Quando si può richiedere?

Quando si ha un reddito familiare (cioè la somma dei redditi di tutti i componenti del nucleo), risultante dall’ultima dichiarazione dei redditi, inferiore a € 11.528,41. Nel solo processo penale è previsto l’aumento di tale soglia reddituale nella misura di € 1.032,91 per ognuno dei familiari conviventi. I conviventi more uxorio contano come familiari.

  • Ci sono categorie di soggetti esclusi? 

Si. Sono esclusi dal GP coloro che sono indagati per reati di evasione in materia di imposte. Sono altresì esclusi i condannati con sentenza definitiva per reati di associazione mafiosa e connessi al traffico di tabacchi e a agli stupefacenti. Inoltre, l’ammissione al patrocinio a spese dello stato decade nel momento in cui il beneficiario nomina un secondo avvocato in aggiunta a quello precedentemente nominato.

  • Ci sono disposizioni a favore di donne maltrattate o minori?

Si. L’art. 76 comma 4 ter DPR 115/2002 prevede che le vittime dei reati concernenti i maltrattamenti in famiglia, la violenza o lo sfruttamento sessuale, le pratiche di mutilazione genitale femminile, la pornografia infantile e lo stalking possano essere ammesse al beneficio anche in deroga ai limiti di reddito previsti dalla legge. In altri termini, ove richiesto, lo Stato assume integralmente i costi della difesa in giudizio delle vittime di tali reati.

  • Mi hanno assegnato un difensore d’ufficio. E’ gratuito?

No. Difensore d’ufficio e patrocinio a spese dello Stato sono due cose diverse. È, tuttavia, sempre possibile verificare che il difensore d’ufficio sia abilitato a difendere con il gratuito patrocinio

  • Quali sono i documenti necessari?

Carta di identità, codice fiscale di tutti i componenti del nucleo familiare, ultima dichiarazione dei redditi dei componenti del nucleo (in mancanza autocertificazione del reddito). Gli stranieri dovranno altresì corredare la domanda di ammissione con una dichiarazione rilasciata dal Consolato del Paese di appartenenza attestante il mancato possesso di redditi all’estero.

  • A chi va presentata la domanda?

Nel penale la domanda viene indirizzata al giudice procedente. Nel civile la domanda va indirizzata alla Commissione Patrocinio a Spese dello Stato dell’Ordine degli Avvocati.  Nella prassi è spesso l’avvocato prescelto dal cliente che si occupa di presentare le istanze con la relativa documentazione.

Il futuro della giustizia italiana? Sempre più nelle mani dei magistrati onorari

È sufficiente scorrere sommariamente il testo del D.lgs n. 116/17 sulla riforma della magistratura onoraria per rendersi conto che nel futuro la giurisdizione verrà accentrata sempre più nelle mani dei magistrati non togati.

Il testo della riforma prevede, infatti, che i giudici di pace avranno competenza, tra le altre cose, per le cause relative a beni mobili o al pagamento a qualsiasi titolo di somme di denaro non superiori ad Euro 30.000 (attualmente il limite é fissato a Euro 5.000).

Inoltre la riforma prevede la possibilità di attribuire ai giudici di pace competenza a giudicare delle cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e natanti non superiori ad Euro 50.000 (attualmente il limite è di Euro 20.000), nonché i pignoramenti presso terzi qualora il valore del credito non ecceda i 50.000. Da ultimo i giudici di pace avranno competenza esclusiva in materia di condominio e ai procedimenti di competenza dei magistrati onorari si applicherà il processo civile telematico.

Una porzione di queste novità entrerà in vigore dal 21 ottobre 2021, ma bisognerà attendere il 31 ottobre 2025 perché la totalità delle novità apportate dalla riforma entri appieno in vigore.

Al momento è stata espunta dalla riforma l’estensione delle competenze dei giudici di pace in ambito penale, ma nulla esclude che la competenza penale dei giudici di pace venga ulteriormente ampliata.