Cassazione Civile: domanda cumulata di separazione e divorzio possibile anche con ricorso congiunto.  

Con sentenza n. 28727, del 16/10/2023 la Corte di Cassazione, in sede di rinvio pregiudiziale, ha affermato che è possibile proporre domanda cumulata di separazione e divorzio anche tramite ricorso congiunto dei coniugi.

La pronuncia compone, così, il contrasto interpretativo che si era creato in seno a vari tribunali di merito, che si erano divisi tra quanti ritenevano il cumulo ammissibile anche nella procedura consensuale (es. Tribunale di Milano) e quanti, invece, ritenevano applicabile il cumulo delle domande di separazione e divorzio soltanto alla procedura giudiziale (es. Tribunale di Firenze).

Riforma Cartabia e reati divenuti procedibili a querela: la volontà di punizione può essere desunta anche dalla costituzione di parte civile

Con sentenza n. 19971/23 del 11.05.2023 la Corte di Cassazione ha chiarito un dubbio importante che ha tormentato gli operatori del diritto a seguito dell’entrata in vigore della cd. Riforma Cartabia (D.lgs 150/22).

Notoriamente, la riforma ha modificato il regime di procedibilità per numerosi reati contro la persona e contro il patrimonio, che sono divenuti procedibili a querela di parte (esempio tra tutti il reato di lesioni personali stradali ex art. 590 bis c.p. nella forma non aggravata). Trattandosi di disposizione maggiormente favorevole al reo e quindi applicabile anche ai procedimenti in corso, la riforma ha introdotto un regime intertemporale (art. 85 D.lgs 150/22) prevedendo la possibilità, per la persona offesa che avesse avuto conoscenza del procedimento prima dell’entrata in vigore della nuova legge, di presentare querela entro tre mesi dalla data di entrata in vigore. Ciò ha provocato numerosi dubbi interpretativi nei casi in cui la persona offesa aveva omesso di proporre formale querela nel termine indicato.

Orbene con la decisione in commento la Cassazione, richiamando un proprio importante precedente (Cass. Sez V n. 2665/22 del 24.01.2022), ha affermato che la sussistenza della volontà di punizione da parte della persona offesa non richiede formule particolari, giacché può essere riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione quali la costituzione di parte civile o anche la semplice riserva di costituirsi parte civili. Anche tali atti, secondo il ragionamento della Corte, vanno interpretati alla luce del cd. “favor querelae”.   

CORONAVIRUS: MODULO DI AUTOCERTIFICAZIONE E REATO DI FALSE DICHIARAZIONI A PUBBLICO UFFICIALE (ART. 495 C.P.).

Come noto, il nuovo modulo dell’autocertificazione è stato integrato con il richiamo all’art. 495 c.p. che punisce con la reclusione da uno a sei anni la condotta di  “Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona”

Per come è stato impostato il modulo di autocertificazione la sanzione sembrerebbe applicarsi a tutte le dichiarazioni mendaci eventualmente contenute nel modulo, ivi compresa la motivazione dello spostamento laddove dovesse risultare falsa. Ma è davvero così?

Una più attenta analisi della norma sembrerebbe tuttavia escluderlo.

Nella nozione di qualità personali, cui fa riferimento l’art. 495, rientrano, oltre all’identità e allo stato civile, anche altre qualità che pure contribuiscono ad identificare le persone, quali, ad es., il luogo di residenza, la professione ecc. Restano, invece, fuori dalla tutela penale le richieste dell’Autorità su qualità squisitamente personali non giustificate da esigenze di identificazione, ma rivolte ad altri fini. E’ stato ritenuto, ad esempio, che non integra il reato in parola la condotta dell’automobilista che, pur non avendo mai conseguito l’abilitazione alla guida, dichiari falsamente alla Polizia Stradale di esserne munito ma di esserne momentaneamente sprovvisto (C., Sez. V, 15.11.2012-28.1.2013, n. 4243).  Come pure non integra il reato in esame la condotta di colui che dichiari falsamente alla polizia stradale di avere una regolare polizza assicurativa del proprio mezzo (C., Sez. V, 19.1.2016, n. 9195).

In altri termini, alla luce della casistica sino ad oggi esistente, sembrerebbe che soltanto le dichiarazioni mendaci circa l’identità o le altre qualità personali che valgono ad identificare la persona potrà comportare una responsabilità penale ai sensi dell’art. 495 c.p.. Contrariamente, invece, eventuali dichiarazioni mendaci circa le ragioni dello spostamento (comprovati motivi di lavoro, di, salute, di necessità, come pure l’indicazione del tragitto),  potrebbero al più far scattare l’applicazione dell’art. 650 c.p., ma non il più grave reato di cui all’art. 495 c.p.

In ogni caso, sarà interessante vedere la casistica giurisprudenziale che si formerà sulla fattispecie nei prossimi mesi, in considerazione delle numerose denunce effettuate dalle Forze dell’Ordine negli ultimi giorni.

 

 

 

La disciplina del consenso informato nella nuova legge sul testamento biologico

Lo scorso dicembre è entrata in vigore la legge 219/2017 sul consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento, meglio nota come legge sul testamento biologico.

Con tale legge viene assicurata una tutela ampia del consenso informato stabilendo che “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi previsti dalla legge”.

Viene, inoltre, promossa e valorizzata la relazione tra paziente e medico, relazione in cui vengono coinvolti, se il paziente lo desidera, anche i famigliari o i conviventi e i partners dell’unione civile o ancora una persona di fiducia del paziente medesimo. Una novità, questa, che recepisce anche a livello normativo le esigenze derivanti dal mutato contesto sociale e familiare italiano.

La legge stabilisce che ogni persona ha diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo aggiornato e a lei comprensibile riguardo alle diagnosi alle prognosi ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi.

È importante sottolineare che, ai sensi della legge in commento, nella nozione di trattamento sanitario vengono per la prima volta ricomprese espressamente anche l’alimentazione e l’idratazione artificiale tramite dispositivo medico. Questa legge interviene, dunque, fermamente nel dibattito che aveva interessato i casi Englaro e Welby, in cui molti la posizione di molti tra coloro che si dicevano contrari a staccare i macchinari faceva leva sull’argomento per cui alimentazione artificiale non poteva considerarsi un trattamento sanitario.

Da ultimo, la nuova legge impone al medico di rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciarvi e, in conseguenza di ciò, il medico viene esentato da ogni forma di responsabilità civile o penale.

Nelle situazioni di emergenza e di urgenza, il medico e i componenti dell’equipe sanitaria assicurano le cure necessarie nel rispetto della volontà del paziente ove le sue condizioni cliniche e le circostanze consentano di recepirla.

Questa legge marca il definitivo tramonto della concezione paternalistica del rapporto paziente- medico, che vedeva il paziente affidarsi quasi ciecamente alle cure e alle scelte del medico, e segna dunque il passaggio definitivo ad una relazione paritaria fondata sulla fiducia e sul consenso informato.

Mancato pagamento dell’assegno di divorzio o di separazione. Conseguenze sul piano penale

Lo scorso 6 aprile 2018 è entrato in vigore il nuovo articolo 570 bis c.p. riguardante la “Violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio”.

Questa nuova figura di reato recepisce all’interno del codice penale quelle condotte delittuose che sino a prima erano sanzionate da specifiche disposizioni della legge sul divorzio (art. 12 sexies L. n. 898/70) e dalla legge sull’affido condiviso (art. 3 L n. 54/06), le quali sono state conseguentemente abrogate.

La nuova disposizione prevede l’applicabilità delle pene già previste dall’art. 570 c.p., ossia la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 103 a euro 1.032.  “al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di divorzio/nullità del matrimonio ovvero che viola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli..

La nuova figura di reato appronta, dunque, una tutela più ampia rispetto a quella originariamente prevista dall’art. 570 comma 2 c.p.

Se, tradizionalmente, infatti, il Codice Rocco puniva soltanto le condotte del coniuge che faceva mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori o inabili al lavoro o al coniuge non separato per colpa, il nuovo art. 570 bis c.p. ricollega, invece, la sanzione penale al mero inadempimento dell’obbligo di corresponsione dell’assegno (di qualsiasi tipologia esso trattasi) stabilito in sede di divorzio o di separazione dal giudice civile in favore dei figli (non necessariamente minorenni, purché non autosufficienti) o dell’altro coniuge. Irrilevante, in quest’ultimo caso, lo stato di bisogno dell’avente diritto.

Come già a suo tempo precisato dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento alle fattispecie abrogate, anche la nuova figura di reato può essere commessa soltanto nell’ambito delle coppie coniugate. Nell’ipotesi di violazione degli obblighi economici scaturenti dalle convivenze more uxorio è, invece, applicabile soltanto la meno ampia tutela di cui all’art. 570 comma 2 c.p. (v. Cass., Sez. VI, 6.4.2017, n. 25267)

Il futuro della giustizia italiana? Sempre più nelle mani dei magistrati onorari

È sufficiente scorrere sommariamente il testo del D.lgs n. 116/17 sulla riforma della magistratura onoraria per rendersi conto che nel futuro la giurisdizione verrà accentrata sempre più nelle mani dei magistrati non togati.

Il testo della riforma prevede, infatti, che i giudici di pace avranno competenza, tra le altre cose, per le cause relative a beni mobili o al pagamento a qualsiasi titolo di somme di denaro non superiori ad Euro 30.000 (attualmente il limite é fissato a Euro 5.000).

Inoltre la riforma prevede la possibilità di attribuire ai giudici di pace competenza a giudicare delle cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e natanti non superiori ad Euro 50.000 (attualmente il limite è di Euro 20.000), nonché i pignoramenti presso terzi qualora il valore del credito non ecceda i 50.000. Da ultimo i giudici di pace avranno competenza esclusiva in materia di condominio e ai procedimenti di competenza dei magistrati onorari si applicherà il processo civile telematico.

Una porzione di queste novità entrerà in vigore dal 21 ottobre 2021, ma bisognerà attendere il 31 ottobre 2025 perché la totalità delle novità apportate dalla riforma entri appieno in vigore.

Al momento è stata espunta dalla riforma l’estensione delle competenze dei giudici di pace in ambito penale, ma nulla esclude che la competenza penale dei giudici di pace venga ulteriormente ampliata.